Il tennis
come
esperienza
religiosa

testi di

David Foster Wallace

03/08/2014

Lo sport più bello che esista

Mi sento di affermare che il tennis è lo sport più bello che esista e anche il più impegnativo. Richiede controllo sul proprio corpo, coordinazione naturale, prontezza, assoluta velocità, resistenza e quello strano miscuglio di prudenza e abbandono che chiamano coraggio. Richiede anche intelligenza. Anche un singolo colpo in un dato scambio di un punto di un incontro professionistico è un incubo di variabili meccaniche.
Data una rete alta novanta centimetri (al centro) e due giocatori in una posizione (non realisticamente) fissa, l'efficacia di un singolo colpo è determinata dalla sua angolazione, profondità, velocità e rotazione. E ognuna di queste determinanti è determinata a sua volta da ulteriori variabili - per esempio la profondità di un colpo è determinata dall'altezza a cui la palla passa sopra la rete, combinata con qualche funzione integrata di velocità e rotazione, dove la stessa altezza della palla sopra la rete è determinata a sua volta dalla posizione del corpo del giocatore, dall'impugnatura della racchetta, dal grado di backswing, dall'angolazione del piatto e dalle coordinate tridimensionali a cui il piatto si muove durante quell'intervallo in cui la palla è in contatto con le corde. L'albero delle variabili e delle determinanti continua a ramificarsi sempre di più, e fino all'infinito se entrano tra i fattori in gioco le posizioni e le scelte dell'avversario e le caratteristiche balistiche della palla che ti ha mandato a ricevere. Nessuna CPU esistente a tutt'oggi potrebbe calcolare l'espansione delle variabili neppure per un singolo scambio - il mainframe si metterebbe a fumare. Il processo logico richiesto è del tipo che può essere compiuto solo da un essere vivente perfettamente cosciente, e comunque soltanto a livello inconscio, cioè combinando il talento con la ripetizione al punto tale che le variabili vengono combinate e controllate senza pensiero cosciente. In altre parole, il tennis serio è una specie di arte.

Come giocare a scacchi correndo

Un campo da tennis, di 23,77 x 8,23 metri, visto da sopra somiglia, con i sottili rettangoli dei due corridoi che lo costeggiano in tutta la sua lunghezza, a una scatola di cartone coi lembi ripiegati all’infuori. La rete, alta 91,5 cm ai paletti, divide il campo a metà nel senso della larghezza; le linee di servizio a loro volta dividono ciascuna metà in fondo campo e zona sottorete. Le due zone sottorete vengono divise in due rettangoli di servizio, di 6,4 x 4,11 metri, dalle linee che vanno dal centro alla base della rete fino alle linee di servizio. La rigida esattezza delle divisioni e delle delimitazioni, unita al fatto che – a parte il vento e gli effetti più anomali – le palle possono viaggiare solo in linea retta, fa sì che il tennis da manuale non sia altro che geometria piana. È come giocare a biliardo con palle che non ne vogliono sapere di star ferme. È come giocare a scacchi correndo. Sta all’artiglieria e agli attacchi aerei come il football sta alla fanteria e alla guerra di trincea.

Niente di niente

Non è un caso se spesso si dice che i grandi atleti hanno un talento «naturale», perché sono capaci di procedere per istinto e memoria muscolare e volontà automatica di modo che agente e azione siano una cosa sola. I grandi atleti riescono a farlo anche – e quelli davvero grandi come Borg e Bird e Nicklaus e Jordan e Austin, specialmente – quando, sotto pressione e sguardi debilitanti,  riescono  a tollerare forze di distrazione che sarebbero capaci di spezzare in due la mente di chi per inclinazione si lascia prendere dalla paura di com’è visto.
Il vero segreto  dietro il genio dei grandi atleti, quindi, potrebbe essere esoterico e ovvio e noioso e profondo come il silenzio stesso. La risposta vera, multivelata, alla domanda di cosa passa per la testa di un grande giocatore mentre se ne sta al centro di rumori ostili della folla e prepara il tiro libero che deciderà l’esito della partita, potrebbe essere benissimo: «Niente di niente».

Datela buona!

Ogni palla che atterra nella vostra parte di campo, ma non siete sicuri se è dentro o fuori: datela buona. Ecco come rendervi invulnerabili da chi usa mezzucci. Come non perdere mai la concentrazione. Ecco come ripetersi, quando l'avversario ruba punti, che una volta corre il cane e una volta la lepre. Che la punizione di un gioco poco sportivo è sempre autoinflitta. Provate a imparare dalle ingiustizie.

La bellezza metafisica di un fuoriclasse

Impossibile da descrivere concretamente la bellezza di un fuoriclasse. O evocarla. Il dritto di Federer è una possente scudisciata liquida, il rovescio è un colpo a una mano che lui sa tirare di piatto, caricare di topspin o tagliare – quello tagliato ha un tale nerbo che la palla cambia forma nell'aria e rasenta l'erba più o meno all'altezza della caviglia. Il servizio ha una velocità e un grado inarrivabile di varietà e precisione; i movimenti del servizio sono flessuosi e sobri, si distinguono (in tv) solo per il guizzo anguillaceo dell'intero corpo al momento dell'impatto. L'intuizione e il suo senso del campo sono portentosi, il gioco di gambe non ha eguali nel tennis: da piccolo era anche un prodigio del calcio. Tutto vero, eppure non spiega niente né evoca l'esperienza di guardare questo giocatore in azione. Di assistere, con i propri occhi, alla bellezza e al genio del suo tennis. Meglio arrivare alla questione estetica per vie trasverse, girarci intorno, o – come faceva Tommaso d'Aquino col il suo soggetto ineffabile – cercare di definirla in termini di ciò che non è. 

Agonismo e guerra

Scopo degli sport agonistici non è la bellezza, anche se gli sport ad alto livello sono luogo deputato per l'espressione della bellezza umana. Il rapporto è pressappoco quello che intercorre fra il coraggio e la guerra.
La bellezza umana in questione è una bellezza di tipo particolare; si potrebbe definire bellezza cinetica. La sua forza e la sua attrattiva sono universali. Sesso o modelli culturali non c'entrano. C'entra, piuttosto, la riconciliazione degli esseri umani e il fatto di avere un corpo. Negli sport maschili non si parla mai di bellezza, di grazia o del corpo. I maschi possono professare il loro «amore» per gli sport ma è un amore che deve sempre improntato e applicato alla simbologia della guerra: eliminazione contro promozione, gerarchia di rango e livello, statistiche ossessive, analisi tecniche, fervore tribale e/o nazionalista, uniformi, rumore di massa, striscioni, pugni battuti sul petto, facce dipinte, eccetera. Per motivi non del tutto chiari, molti di noi trovano i codici della guerra più sicuri di quelli dell'amore. 

Sport multinazionale

Il tennis professionistico viene sempre definito sport internazionale ma sarebbe più esatto definirlo sport multinazionale: fiscalmente parlando, è in larga parte il settore marketing di grandissime aziende (…). Il grosso dei guadagni di quasi tutti i professionisti deriva dai contratti pubblicitari. Ogni singolo luogo e strumento legato a manifestazioni professionistiche riporta qualche tipo di pubblicità. Perfino i nomi ufficiali di quasi tutti i tornei professionistici sono quelli delle aziende che hanno ottenuto il titolo di sponsor ufficiale (…)

Il "vero avversario"

Il vero avversario, la frontiera che include, è il giocatore stesso. C’è sempre e solo l’io là fuori, sul campo, da incontrare, combattere, costringere a venire a patti. Il ragazzo dall’altro lato della rete: lui non è il nemico: è più il partner nella danza. Lui è il pretesto o l’occasione per incontrare l’io. E tu sei la sua occasione. Le infinite radici della bellezza del tennis sono autocompetitive. Si compete con i propri limiti per trascendere l’io in immaginazione ed esecuzione. Scompari dentro il gioco: fai breccia nei tuoi limiti: trascendi: migliora: vinci. Ecco la ragione per cui il tennis è l’impresa essenzialmente tragica del migliorare e crescere (...) Si cerca di sconfiggere e trascendere quell’io limitato i cui limiti stessi rendono il gioco possibile. E’tragico e triste e caotico e delizioso. E tutta la vita è così, come cittadini dello Stato umano: i limiti che ci animano sono dentro di noi, devono essere uccisi e compianti, all’infinito.

Bibliografia

Lo sport più bello che esista
David  Foster WallaceL'abilità professionistica del tennista Michael Joyce come paradigma di una serie di cose tipo la scellta, la libertà, i limiti, la gioia, l'assurdità e la completezza dell'essere umano, in Tennis, tv, trigonomteria, tornado e altre cose divertenti che non farò mai più, minimum fax, 1999, pag. 293-4

Come giocare a scacchi correndo
David  Foster WallaceTennis e tornado, in Tennis, tv, trigonomteria, tornado e altre cose divertenti che non farò mai più, minimum fax, 1999, pag. 11

Niente di niente
David  Foster Wallace, Come Tracy Austin mi ha spezzato il cuore, in Considera l'aragosta, Minimum fax, 1999, pag. 11

Datela buona!
David  Foster Wallace, Infinite Jest, mnimum fax, 1999, pag. 11

La bellezza metafisica di un fuoriclasse
Foster Wallace, David. Federer come esperienza religiosa in Il tennis come esperienza religiosa, Torino, Einaudi, 2012, pag. 53-54, 58-59

Agonismo e guerra
Foster Wallace, David. Federer come esperienza religiosa in Il tennis come esperienza religiosa. Torino, Einaudi, 2012, pag. 46-47

Sport multinazionale
Foster Wallace, David. Democrazia e commercio agli US Open in Il tennis come esperienza religiosa. Torino, Einaudi, 2012, pag. 46-47

Il "vero avversario"
David  Foster Wallace, Infinite Jest, minimum fax, 1999, pag. 99-100
Haiku
scelti
del periodo
Edo


testi di

Matsuo Basho
Kobayashi Issa
Yosa Buson

01.

Al profumo del pruno
sbuca improvviso il sole -
Sentiero tra i monti.

[Basho]

02.

Dal cielo
sembrano piovuti
i fiori di ciliegio.

[Issa]

03.

Nella frescura
perle di rugiada
grandi e piccole.

[Issa]

04.

Senza rumore
arriva la primavera
con un cielo pallido.

[Issa]

05.

Le lente giornate
che si susseguono -  com'è lontana
la vita d'un tempo!

[Buson]


Bibliografia


01.
Il muschio e la rugiada. Antologia di poesia giapponese, a cura di Mario Riccò e Paolo Ligazzi, BUR, 2010, pag. 107

02. 




Alpinisti ciabattoni

Tramontava una splendida giornata. Un bel sole autunnale ponzava nell'aria tersa marosi iridescenti. Il treno filava via in mezzo a praterie fresche di verde smaltato; gli alberi projettavano le ombre allungate sui clivi, ed i loro pennacchi frondosi sforacchiati di raggi svettavano dolcemente nell'aria molle e fiammeggiante.
Dai prati falciati venivano raffiche ed effluvii salubri di erbe fresche, e lontano nello sprazzo solare, fra cumuli di fieno, si agitavano pennellate di cinabro le vivaci figurine delle rastrellatrici scintillanti nel loro corsetto bianco.
Più in giù sui cocuzzoli soffici delle collinette, ridevano al sole paeselli e casolari appiattati sul verde. Un villino erto sopra un poggio lontano in faccia al sole, rifrangeva dalle vetriate i purpurei bagliori di un incendio.
A volte il treno correva per lunghi tratti in mezzo a siepi folte di biancospino, piene di ombre fresche, e nel  fitto dei fogliami aggrovigliati  scintillavano in fantastica luminaria miriadi di foglioline trasparenti di sole, e tralci injettati di sanguigno.
Poi la siepe correva via veloce portandosi dietro gli occhi, e di nuovo si allargava, affondava l'ampio orizzonte, e prati e campi e alberi trionfanti nella gloria solare, e più lontano sorgevano nel cielo azzurrino montagne striate di praterie, di greppi arrosati dei più vaghi colori; culmini aurati di lucori crepuscolari, e balze e falde ampie già immergentesi nelle ombre turchiniccie.

[Achille Giovanni Cagna, Alpinisti ciabattoni, Amazon.co.uk, 2012, pag. 10]

Pseudolo

[Atto primo, scena quarta]

PSEUDOLO, solo

Adesso ch'egli se n'è andato, sei qua solo, Pseudolo. Ebbene, cosa intendi fare, dopo aver generosamente elargito promesse al tuo padroncino? Su che cosa si fondano quelle promesse? Non hai niente di pronto: neppure l'ombra d'un piano sicuro, né un tantino di denaro... - Né ho un'idea di quel che devo fare! - Non sai da che punto cominciare a ordire la tua tela, né sai con certezza dove finirai di tesserla... - Sì, ma come il poeta, prese le sue tavolette, cerca ciò che non esiste in nessuna parte del mondo, e tuttavia lo trova, riuscendo a rendere verosimile quel ch'è menzogna, così farò io: diverrò poeta, e le venti mine che attualmente non esistono in nessuna parte del mondo finirò col trovarle.

(vv. 394-405)

[Tito Maccio Plauto, Pseudolo, BUR 1999, pag. 143]

Lo straniero

Partito lui, ho ritrovato la calma. Ero esausto e mi sono gettato sulla branda. Devo aver dormito perché mi sono svegliato con delle stelle sul viso. Rumori di campagna giungevano fino a me. Odori di notte, di terra e di sale rinfrescavano le mie tempie. La pace meravigliosa di quell'estate assopita entrava in me come una marea. In quel momento e al limite della notte, si è udito un sibilo di sirene. Annunciavano partenze per un mondo che mi era ormai indifferente per sempre.

[Albert Camus, Lo straniero, Bompiani, 1987, pag. 84]

Don Chisciotte della Mancia

A questo punto scoprirono trenta o quaranta mulini a vento che si trovano in quella campagna, e non appena Don Chisciotte li vide, disse al suo scudiero.
- La fortuna va incamminando le nostre cose assai meglio di quanto potremmo desiderarlo, perché guarda lí, amico Sancio Panza, che ci si mostrano trenta e più smisurati giganti, con i quali ho intenzione di azzuffarmi e di ucciderli tutti, così con le loro spoglie cominceremo ad arricchirci, che che questa è buona guerra, ed è fare un servizio a Dio togliere questa mala semenza dalla faccia della terra.
- Che giganti? - disse Sancio Panza.
- Quelli che vedi là - rispose il suo padrone - dalle smisurate braccia; e ce n'è alcuni che arrivano ad averle lunghe due leghe.
- Badi la signoria vostra - osservò Sancio - che quelli che si vedono là non son giganti ma mulini a vento, e ciò che in essi paiono le braccia, son le pale che girate dal vento fanno andare la pietra del mulino.
- Si vede bene - disse Don Chisciotte - che non te n'intendi d'avventure; quelli son giganti; e se hai paura, levati di qua, e mettiti a pregare, mentre io entrerò con essi in aspra e disugual tenzone. 
E così dicendo, diede di sprone al suo cavallo Ronzinante, senza far caso a ciò che gli gridava Sancio Panza, per avvertirlo che erano certamente mulini a vento, e non giganti che nè sentiva le grida del suo scudiero Sancio, né s'accorgeva, nemmeno ora che era arrivato vicino, di ciò che erano, anzi gridava a gran voce:
- Non scappate, codarde e vili creature, che è un cavaliere solo che vi attacca.
A questo punto soffiò un pò di vento e le grandi pale cominciarono a muoversi, e don Chisciotte disse, vedendo ciò: 
- Quand'anche muoviate più braccia del gigante Briareo, me la pagherete.
Cosí dicendo e raccomandandosi ardentemente alla sua Dulcinea per chiederle che lo soccorresse in quel frangente, ben coperto dalla rotella, con la lancia in resta, spinse Ronzinante a gran galoppo e investì il primo mulino che si trovò davanti; e avendo dato un gran colpo di lancia alla pala, il vento la fece ruotare con una tal furia che fece in pezzi la lancia, trascinandosi dietro cavallo e cavaliere, che rotolò tramortito per terra. Accorse ad aiutarlo Sancio Panza, con tutta la velocità del suo asino, e quando arrivò lo trovò che non era neanche in grado di muoversi: tale era il colpo che Ronziante gli aveva dato.
- Per l'amor di Dio! - disse Sancio -. Non gliel'avevo detto io che stesse bene attento a quel ceh faceva, che quelli erano mulini a vento, e solamente chi ce li avesse avuti in testa poteva non accorgersene?
- Taci, caro Sancio - rispose Don Chisciotte -; poiché la cose della guerra sopra tutte le altre son soggette a continua vicenda; tanto più che io credo, ed è e sarà certamente cosí, che quel mago Frestone che mi ha rubato la stanza e i libri, ha convertito anche questi giganti in mulini, per togliermi la gloria di vincerli: tale è l'inimicizia che mi tiene: ma alla resa dei conti, poco varranno le sue male arti contro la bontà della mia spada.
- Ci pensi il Signore, che tutto può - rispose Sancio Panza, e lo aiutò ad alzarsi.

[Miguel de Cervantes, Don Chisciotte della Mancia, Einaudi, 1994, pag 80-81]